Luogo: Chianti classico: Panzano, Greve
Una felice definizione di abitare è “radunare il mondo in una costruzione concreta”: niente rappresenta meglio quest’idea della tradizione architettonica toscana del podere, che sapeva fondersi meravigliosamente con il paesaggio, quasi da sembrare parte naturale di esso.
Stiamo parlando di quella cultura mezzadrile perpetuatasi per secoli nelle nostre campagne, un patrimonio di saperi e sapienze di cui ancora in parte si rinvengono le tracce nel nostro contemporaneo immateriale, e che forse più si può individuare nei beni immateriali, ovvero le costruzioni, i manufatti e artefatti che caratterizzano il paesaggio di campagna.
La nostra lunga passeggiata tra Panzano (582 m) e Greve in Chianti (236 m) ci consentirà proprio di mirare queste opere dell’uomo, di rinvenire quella relazione fra natura e artificio, fra il dentro delle mura domestiche e il fuori dei campi, dei boschi e degli animali, concepita come un tutt’uno, poco affine alla dicotomia fra pubblico e privato che tanto significa invece per noi contemporanei.
D’accordo, ma il Chianti non è forse, nel mare magnum della Toscana, una realtà sui generis che per il suo successo meriterebbe un discorso a parte? Ovviamente sì, e ci sarà modo di evidenziarne tutti i caratteri passo dopo passo.
Eppure anche qui, ancora negli anni ’60, ovvero alla fine della pratica mezzadrile, vigeva la coltura promiscua del podere, con una buona prevalenza della coltivazione di grano e foraggio tipicamente associata a qualche filare di vite e olivo.
Il vigneto specializzato era invece una realtà che cominciò proprio allora ad affermarsi in maniera più marcata, fino a decuplicare la sua estensione negli anni novanta.
Come incalliti naturalisti, nel nostro andare rinveniremo le testimonianze di una vera e propria area relitto di quel Chianti che fu.
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